Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 12 marzo 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Invecchiamento della microglia come acceleratore del declino cognitivo e segno di invecchiamento cerebrale. L’infiammazione sistemica determina attivazione della microglia cerebrale in un modo diverso col passare degli anni, e il differente funzionamento della microglia attivata nell’animale anziano è in stretta relazione con il declino cognitivo, la principale spia dell’invecchiamento encefalico. Su questa base Wu e colleghi hanno introdotto il concetto di “invecchiamento della microglia” ed hanno proposto un approccio nutrizionale per contrastare questa modificazione che interviene con l’età [Wu Z., et al. Oxid Med Cell Longev. Epub ahead of print doi:10.1155/2016/7498528, 2016].

 

Il 3‰ negli USA non si riconosce nel proprio sesso biologico e i ragazzi che cambiano sesso sono sempre più giovani. Quando è molto precoce la consapevolezza che la propria identità di genere è diversa da quella biologica, l’orientamento attuale negli USA vuole che non si attenda oltre e si proceda al più presto all’avvio del protocollo che prevede il blocco dello sviluppo puberale, seguito dal trattamento con ormoni del sesso opposto (o psicologico), che indurranno lo sviluppo puberale nel genere desiderato. Questo orientamento è fissato da linee-guida e giustificato dai buoni risultati che produce. Tuttavia, alcuni clinici e molti genitori esercitano pressioni perché non si generalizzi questo orientamento e si decida caso per caso, ammettendo la possibilità di riflettere più a lungo, e magari rinunciare alla modificazione farmacologica e chirurgica del proprio corpo.

 

È vero che un elevato consumo di caffè riduce il rischio di sclerosi multipla? Poiché gli studi finora condotti sui rapporti fra assunzione di caffeina e rischio di sclerosi multipla non hanno ottenuto risultati definiti e decisivi, Hedstrom, con colleghi del Karolinska Institutet di Stoccolma e colleghi statunitensi, hanno deciso di indagare la questione basandosi su due grandi studi “caso-controllo” significativi in rapporto alla popolazione: 1) studio svedese su 1620 casi vs 2788 controlli; 2) studio statunitense su 1159 casi vs 1172 controlli. I risultati hanno mostrato che, concordemente con quanto osservato nei modelli animali, un alto consumo di caffè sembrava associato ad un rischio più basso di sviluppare sclerosi multipla. Poiché la caffeina ha la proprietà di sopprimere la produzione di citochine infiammatorie, gli autori dello studio ipotizzano che tale azione potrebbe essere responsabile della più bassa incidenza nei consumatori di alte dosi di caffè.

Sull’interpretazione del risultato di questi due studi è opportuno fare qualche osservazione. In primo luogo, mancando attualmente conoscenze sui fattori ambientali che possono contribuire all’etiologia della sclerosi multipla, non si può escludere che altri fattori ignoti con un ruolo protettivo siano casualmente più presenti o più attivi in coloro che assumono molto caffè. Si deve poi ricordare che i concetti epidemiologici convenzionali di “ridotto rischio” e “aumentato rischio” indicano la riduzione o l’aumento di probabilità di rilevare un’associazione e non l’accertamento di una condizione predisponente nell’organismo o in grado di modificare il suo stato fisiologico, che si leghi con nesso di causalità al minore o maggiore numero di persone ammalate. Inoltre, se pure fosse confermato che nelle popolazioni ad alto consumo di caffè è più bassa la probabilità che si manifesti la malattia, questo non vorrebbe dire che la caffeina o il caffè abbiano un ruolo terapeutico in chi ha già sviluppato la sclerosi multipla (lo si dovrebbe dimostrare). Infine, a proposito di possibili effetti neuroprotettivi della caffeina, si nota che, se realmente sussistono e sono significativi, in molti stati di eretismo neurovegetativo, ansia, stress e depressione, potrebbero essere negativamente controbilanciati o annullati dal potenziamento degli effetti ortosimpatici già elevati a causa dello squilibrio neurofunzionale tipico di queste condizioni. [J. Neurol Neurosurg Psychiatry – Epub ahead of print Mar 3, 2016].

 

L’alterata omeostasi del ferro causa degenerazione dopaminergica nel topo. Il cervello richiede ferro per numerosi processi che vanno dalla respirazione mitocondriale alla sintesi di mielina, di neurotrasmettitori e di enzimi come le monoamminossidasi (MAO), importanti nel catabolismo delle ammine biogene neuromediatrici. L’implicazione del ferro in disturbi neurologici e psichiatrici è intuitiva, ma non dimostrata; nelle malattie neurodegenerative, però, il ferro si accumula in varie sedi cerebrali, e alcuni ricercatori hanno ipotizzato che l’accumulo di ferro possa causare la morte dei neuroni. La gestione del ferro da parte delle cellule cerebrali è ancora poco conosciuta. Pavle Matak e colleghi della Duke University hanno approfondito lo studio dei neuroni dopaminergici interessati dal processo degenerativo della malattia di Parkinson, e ne hanno manipolato le molecole implicate nella captazione e nel rilascio dell’elemento metallico. La perdita di ferroportina, che veicola all’esterno il ferro cellulare, apparentemente non causava alcun effetto. Al contrario, la perdita del recettore della transferrina, implicato nella captazione del metallo, ha causato nel topo deficit di ferro e degenerazione con elementi istopatologici simili a quelli della malattia di Parkinson. Matak e colleghi propongono che il deficit di ferro sia responsabile della neurodegenerazione, con lo stesso meccanismo, nella malattia di Parkinson dell’uomo [PNAS USA doi:10.1073/pnas.1519473113, 2016].

 

La vitamina B12 e gli acidi grassi omega 3 rallentano il declino cognitivo. Numerosi studi sembrano spiegare quanto emerso di recente, ossia che supplementi di cianocobalamina (vit. B12) ed acidi grassi omega 3 riducano il rischio di declino della funzioni cognitive. In particolare, si comincia a delineare il ruolo di queste due molecole essenziali nella fisiologia cerebrale [J. Biomed Sci. 23 (1): 17,2016].

 

Perché la FA della corteccia cerebrale è accresciuta nella sclerosi multipla. Alla DTI (diffusion tensor imaging) le lesioni demielinizzanti della materia grigia, nella sclerosi multipla, presentano un’accentuata anisotropia frazionale (FA). Tale rilievo è stato attribuito ad attivazione della microglia oppure ad alterazioni connesse con la neurodegenerazione. Uno studio, proposto in pre-pubblicazione elettronica lo scorso 4 marzo, ha invece dimostrato che la ragione dell’aumentata FA è da attribuirsi ad aumentata densità senza differenza nelle dimensioni cellulari, ossia accresciuta compattezza [Jonkman LE, et al. Multiple Sclerosis – Epub ahead of print Mar 4, 2016].

 

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BM&L-12 marzo 2016

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